L’incertezza delle quote import e l’avvento del CBAM all’orizzonte: ultime notizie dal mercato dei piani

Alta domanda costante e scarse possibilità di consegne entro fine 2021, sia acquistando da produttori UE che importando: questa è la fotografia attuale del mercato dei coils europeo, a fronte dell’andamento positivo di molti settori che richiedono acciaio. L’ingresso sul mercato di coils dall’import ha però avuto il merito di ridurre la pressione per la carenza di materiale e l’ansia per il continuo rialzo dei prezzi.

Se i prezzi dell’import rimangono più competitivi rispetto all’acquisto in UE, l’incertezza delle quote fissate dalle misure di salvaguardia può fungere da deterrente, visto che è previsto un dazio fino al 25% in caso di esaurimento della quota.

Tuttavia, in alcuni casi come quello dell’India secondo gli operatori il prezzo dell’acciaio è così competitivo da risultare conveniente anche se si dovesse applicare del dazio. Nel frattempo, al 2 luglio la Commissione Europea parla di 381.699 mt di HRC indiani in attesa di assegnazione nei porti rispetto alla disponibilità iniziale della quota di 169.717mt per il terzo trimestre 2021.

CBAM e player UE: i pareri sono contrastanti

Il meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere (CBAM, Carbon Border Adjustment Mechanism) che rientra nel green deal UE verrà introdotto nel 2023: l’obiettivo del provvedimento è introdurre un sistema che integri il costo delle emissioni di gas a effetto serra da parte del Paese produttore ai prezzi dei prodotti importati, e interesserà metalli, elettricità, cemento e fertilizzanti.

La Commissione Europea sta elaborando il sistema di applicazione di questo ambizioso provvedimento, ma è chiaro che il CBAM inasprirà le regole di scambio delle quote di emissione di carbonio: i settori dell’acciaio e dell’alluminio rappresentano infatti l’8% e il 2% delle emissioni globali del gas.

L’avvento del CBAM viene ovviamente accolto in modo diverso dai player del mercato. Da un lato, è visto dai produttori siderurgici europei come la possibilità di tenere fuori dall’Europa l’acciaio prodotto in Paesi con una legislazione ambientale meno severa. I produttori hanno calcolato che serve un investimento di 144 miliardi di euro per raggiungere la produzione netta di carbonio zero entro il 2050, capitale da investire in tecnologie che porterebbe a un incremento tra il 35% e il 100% dei costi di produzione.

Più scettici invece sul tema CBAM altri player: alcuni produttori di alluminio temono che possa compromettere la natura globale delle loro catene di approvvigionamento tradizionali, mentre i consumatori temono che porterà più volatilità. Nelle parole di Christophe Lagrange, membro del comitato esecutivo dell’associazione dei distributori e degli importatori Euranimi, il CBAM viene definito “una scusa ecologica per quella che in realtà diventerà un’altra tassa comune sulle importazioni, nella stessa linea dei dazi antidumping. (…) Riteniamo che un sistema basato su incentivi/sanzioni individuali sarebbe molto più efficace”. Molti produttori del terzo mondo, sempre secondo Lagrange, avrebbero già installato le più moderne tecnologie in ottica di sostenibilità.

Il caso Turchia: un’importante accelerata nell’import

La Turkish Steel Producers’ Association (TCUD) ha annunciato che nei primi cinque mesi del 2021 la Turchia ha registrato un aumento del 49,9% delle importazioni di acciaio rispetto all’anno precedente.

I produttori di acciaio turchi hanno annunciato un aumento di capacità negli ultimi mesi, soprattutto nella produzione di acciaio piano: le previsioni di incremento entro i prossimi tre anni sono di 6-8 milioni di tonnellate per la produzione turca. Nuovi investimenti dovrebbero alleggerire la mancanza di acciaio sul mercato turco e allo stesso tempo consentire al Paese di rivolgersi meno all’import.

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Alessandra Sangoi

Alessandra Sangoi
CEO

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